La circ. 28/2011 diffusa ieri conferma quanto in precedenza affermato dall’Agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco 2011 e del Forum organizzato da Italia Oggi lo scorso 14 gennaio in tema di accertamento sintetico, e ciò acquista una particolare rilevanza in tema di alternatività tra i due strumenti accertativi.
È ormai noto a tutti gli operatori del settore che il DL 78/2010 ha radicalmente modificato l’art. 38 del DPR 600/73, e che, allo stato attuale, non sono ancora stati emanati i decreti attuativi, ove verranno individuati i nuovi coefficienti “redditometrici”.
Per ciò che concerne il “redditometro”, quindi, non si può ancora dire nulla, visto che occorre attendere le tabelle ministeriali. La spesa patrimoniale (detta anche “spesometro”), invece, non necessita di norme di rango secondario, in quanto, a decorrere dagli accertamenti sul 2009, le spese sostenute varranno quale maggior reddito, sussistendo, ovviamente, lo scostamento del 20%, anche per un solo periodo d’imposta.
Nel “vecchio” sistema, la spesa si presumeva sostenuta nell’anno della sua effettuazione e nei quattro precedenti, quindi veniva imputata per un quinto in ogni periodo d’imposta.
Il decreto del 1992 (valevole fino agli accertamenti sul 2008) ammetteva espressamente che alla determinazione “redditometrica” dell’imponibile potesse sommarsi il quinto degli incrementi patrimoniali: in sostanza, ammetteva la cumulabilità tra “redditometro” e “spesometro”.
L’Agenzia delle Entrate, interpretando la norma in maniera costituzionalmente orientata, ovvero alla luce della capacità contributiva, sostiene (§ 6.1) che i due strumenti di accertamento sintetico saranno alternativi, e che la scelta del metodo da utilizzare verrà fatta in base alle risultanze istruttorie: quindi, o si usa il “redditometro” o lo “spesometro”, e ciò è anche coerente con il nuovo sistema, ove la spesa verrà imputata interamente nell’anno di acquisto, con sensibile aggravio delle aliquote IRPEF.
Il decreto del 1992 (valevole fino agli accertamenti sul 2008) ammetteva espressamente che alla determinazione “redditometrica” dell’imponibile potesse sommarsi il quinto degli incrementi patrimoniali: in sostanza, ammetteva la cumulabilità tra “redditometro” e “spesometro”.
L’Agenzia delle Entrate, interpretando la norma in maniera costituzionalmente orientata, ovvero alla luce della capacità contributiva, sostiene (§ 6.1) che i due strumenti di accertamento sintetico saranno alternativi, e che la scelta del metodo da utilizzare verrà fatta in base alle risultanze istruttorie: quindi, o si usa il “redditometro” o lo “spesometro”, e ciò è anche coerente con il nuovo sistema, ove la spesa verrà imputata interamente nell’anno di acquisto, con sensibile aggravio delle aliquote IRPEF.
Nel § 6.2, poi, si conferma l’assunto secondo cui le rate di mutuo restituite alla banca saranno vagliate quale spesa nel periodo d’imposta.
Va da sé che i mutui continuano a essere una sorta di “arma a doppio taglio”, come evidenziato in un precedente intervento (si veda “Mutui: arma a doppio taglio per il redditometro” del 7 gennaio 2011).
Infatti, se da un lato l’acquisto dell’immobile varrà come spesa solo in merito all’esborso effettuato (defalcato quindi della quota presa a mutuo), dall’altro le rate restituite costituiranno spesa per il loro ammontare nei successivi anni.
Quale prova contraria conta il reddito effettivo
Si confida nel fatto che i tecnici del Ministero, nelle emanande tabelle, espungano ogni riferimento alle rate di mutuo ai fini della determinazione “redditometrica” dell’imponibile, visti gli effetti che ciò ha comportato, effetti, come evidenziato nell’intervento citato, davvero abnormi.
L’ultimo chiarimento concerne la prova contraria, argomento centrale nella difesa contro le rettifiche sintetiche.
Si ribadisce che l’entità del possesso di poste “legalmente escluse dalla formazione della base imponibile” deve essere vagliata alla luce del reddito effettivo. Così, se il contribuente dichiara ad esempio redditi da locazione di immobili di interesse culturale in base al criterio catastale, come ammesso dalla normativa vigente, ai fini della prova contraria il Fisco deve tenere conto non del criterio catastale, ma del canone percepito (sull’argomento si veda “Redditometro: conta il reddito effettivo” del 29 gennaio 2011).
Si ribadisce che l’entità del possesso di poste “legalmente escluse dalla formazione della base imponibile” deve essere vagliata alla luce del reddito effettivo. Così, se il contribuente dichiara ad esempio redditi da locazione di immobili di interesse culturale in base al criterio catastale, come ammesso dalla normativa vigente, ai fini della prova contraria il Fisco deve tenere conto non del criterio catastale, ma del canone percepito (sull’argomento si veda “Redditometro: conta il reddito effettivo” del 29 gennaio 2011).