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Sanzione penale per chi non versa l’IVA di ammontare superiore a 50.000 euro

Sanzione penale per chi non versa l’IVA di ammontare superiore a 50.000 euro dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

L’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 - come introdotto dall’art. 35 comma 7 del DL 223/2006 (conv. L. 248/2006) - punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo; tale condotta presenta rilevanza penale se l’IVA non versata è di ammontare superiore a 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta.


Come evidenziato, la fattispecie si riferisce all’omesso versamento dell’IVA “dovuta in base alla dichiarazione annuale”.

Per individuare il momento ultimo, peraltro, occorre considerare l’inciso immediatamente seguente, che attribuisce rilievo al “termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo”.

 

L’art. 6, comma 2 della L. 405/90 stabilisce che l’acconto IVA deve essere versato entro il 27 dicembre.

 

La fattispecie è in vigore dal 4 luglio 2006.

Il delitto, quindi, non si perfeziona nel caso di omissione di un versamento periodico, il cui importo, eventualmente sommato ad altri omessi versamenti, sia superiore a 50.000 euro, ma quando il contribuente non versi, entro il 27 dicembre di un determinato anno, il debito IVA risultante dalla dichiarazione relativa all’anno precedente per un importo superiore alla ricordata soglia.

 

Il Tribunale di Torino ha ritenuto manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale della disposizione per violazione del divieto di retroattività, di cui all’art. 25 comma 2 Cost., sancendo nel luglio 2006 la punibilità dell’omesso versamento IVA relativo alla dichiarazione 2005.

Ciò in quanto deve escludersi che, per i soggetti debitori dell’IVA risultante dalla dichiarazione 2005, la fattispecie in questione abbia avuto efficacia retroattiva; infatti, nel momento (penalmente rilevante) del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo (27 dicembre 2006), la fattispecie in questione era già prevista come reato dall’ordinamento.

Congruo il termine di 5 mesi e mezzo per versare l’IVA

Fondati, invece, sono stati reputati i dubbi di legittimità costituzionale in relazione al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), sottolineando come il debitore dell’IVA risultante dalla dichiarazione 2005 abbia avuto un tempo decisamente inferiore (ovvero dal 4 luglio 2006 al 27 dicembre 2006), rispetto a chi ha dovuto versare l’IVA per gli anni successivi ed a chi lo dovrà fare nel futuro, per porre in essere il versamento idoneo ad evitare l’integrazione della fattispecie (così l’ordinanza del 22 settembre 2010; ma si veda anche quella del 10 marzo 2011).

Il Giudice delle Leggi, con ordinanza del 21 luglio 2011 n. 224, ha dichiarato la questione - seppure ammissibile - manifestamente infondata.

Ciò in quanto, per costante giurisprudenza costituzionale, non contrasta di per sé con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo costituisce un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche (cfr., tra le altre, Corte Cost. 2 aprile 2009 n. 94).

Quindi, la circostanza che per ragioni collegate alle meccaniche di entrata in vigore della norma incriminatrice, il debitore di IVA per l’anno 2005 venga a disporre - al fine di eseguire il versamento (o, meglio, per decidere se effettuarlo o meno con la consapevolezza che la sua omissione avrà conseguenze penali, essendo il pagamento “doveroso”, in base alla normativa tributaria, già prima e indipendentemente dall’introduzione della nuova incriminazione) - di un termine minore di quello accordato ai contribuenti per gli anni successivi, non può ritenersi, di per sé, lesiva del parametro costituzionale evocato. Il termine di oltre cinque mesi e mezzo (dal 4 luglio 2006 al 27 dicembre 2006), riconosciuto al soggetto in questione (in luogo dei quasi dodici mesi “ordinari”), non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per sé, un serio ostacolo all’adempimento (cfr. Corte Cost. 27 ottobre 2006 n. 342).

Neppure può considerarsi lesivo del principio di eguaglianza il fatto che la norma censurata sottoponga allo stesso trattamento sanzionatorio soggetti che fruiscono di termini comunque differenti per il versamento idoneo ad evitare la responsabilità penale. Al legislatore, infatti, è consentito includere in uno stesso paradigma punitivo una pluralità di fattispecie diverse per struttura e disvalore; spettando, in tali casi, al giudice far emergere la differenza tra le varie condotte tramite la graduazione della pena tra il minimo e il massimo edittale (cfr. Corte Cost. 8 luglio 2010 n. 250). E, quindi, la particolare (e, per l’aspetto considerato, meno favorevole) situazione in cui sono venuti a trovarsi i contribuenti per l’anno 2005 rispetto ai destinatari del precetto per gli anni successivi, può essere eventualmente apprezzata e valorizzata dal giudice in sede di determinazione della pena nell’ambito della forbice edittale, sufficientemente ampia a tal fine.

Si ricorda, infine, che l’assenza di profili di illegittimità costituzionale, sia in relazione all’art. 3 che in relazione all’art. 24 Cost., è stata recentemente ribadita da Cass. 10 gennaio 2012 n.174.

 

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